CUORE E RAGIONI

Santa politica

di Massimo Cacciari e Achille Silvestrini (da Micromega)

MASSIMO CACCIARI - Caro don Achille, forse è utile iniziare sgombrando il campo da un equivoco, largamente presente nella cultura laica. Una specie di pregiudizio, spesso inconfessato. Ma perché questi cattolici si danno tanto da fare in politicis? Non dovrebbero piuttosto ritornare in se stessi e pregare per le loro (e le nostre, bontà loro) anime? La verità che, piaccia o no, il cristiano non potrà mai esser un impolitico. Lo può un filosofo (a fatica), lo può un ateo, lo può un buddista - non un cristiano. Sei d'accordo? È una verità non facile da accettare - anche per tanti cristiani. La fede stessa nell'incarnazione del Logos, io credo, costringe ad essa. Fare politica è una dimensione immanente all'idea stessa di Kenosi. Non si possono imitare le sofferenze del Figlio, se non anche impegnandosi politicamente. C'è qualcosa di più «politico» della retorica di Paolo? Polemica (anche e soprattutto con Pietro!), invettiva, trucchi da avvocato... Tra i labores del cristiano vi è quello politico - e per lui, io credo, sia il più improbus...
ACHILLE SILVESTRINI - Quando dici che fare politica è una dimensione immanente all'idea stessa di Kenosi poni la questione della sofferenza di Cristo (e dei cristiani che devono imitarlo) come modo d'interpretarla. Ora, il testo della Lettera di Paolo ai Filippesi contiene l'inno che descrive la Kenosi (spogliazione, abbassamento) di Cristo Gesù (cfr. 2, 611), introdotto da un'esortazione: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù». Da qui siamo avvertiti che l'atteggiamento cristiano nel mondo deve seguire le modalità interiori ed esteriori del Figlio di Dio che incarnandosi decide di vivere come uomo che sceglie il servizio che nella pagina del Vangelo di Matteo è la chiave di comprensione della Parabola dei talenti (25, 1430). Quella storia presenta un padrone che, dovendo partire, consegna ai suoi servitori i beni che possiede e che al suo ritorno ricompenserà chi li ha fatti fruttificare (nell'espressione dell'inno della Lettera ai Filippesi si dice che Cristo «non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio»), e punirà severamente chi, per paura, avrà sotterrato il talento affidatogli (cioè chi ha considerato un «tesoro geloso», quello che gli era stato consegnato). Accosto le due pagine bibliche convinto che la dimensione politica per un cristiano passa da questa sollecitazione radicale: quello che hai (intelligenza, cultura, mezzi concreti) ti sono dati per metterti a servizio di un mondo che vive l'agonia delle impari opportunità. Tornando al testo di Paolo, l'uguaglianza con Dio è sciolta dalla chiusura esclusiva, come i talenti che non si nascondono sotto la terra, perché l'umanità, segnata dalla dissomiglianza, cioè dal peccato, possa tornare a somigliare all'immagine che il Creatore ha impressa nella creatura (cfr. Genesi 2,27). Il bisogno di redenzione, cioè di essere liberati dalla finitudine e dalla colpa, trova in Cristo colui che depose le vesti e lava e asciuga i piedi ai suoi discepoli chiedendogli di fare così anche loro, di servire (cfr. Giovanni 13, 115). Un servizio capace di affrancare dall'impossibilità di salvarsi. E anche la politica rientra nel raggio delle azioni liberanti, che sono quelle che secondo la conclusione del capitolo 25 del Vangelo di Matteo offriranno i parametri del giudizio finale: il valore di giusto sarà attribuito a chi avrà risposto all'appello dell'altro che non è libero perché schiacciato dal bisogno e dalla solitudine (chi ha fame, sete, è forestiero, nudo, malato e carcerato). E c'è di più, Cristo stesso sarà nascosto nel loro appello, e dunque nessuno potrà considerarsi credente eludendo questo mondo che chiede aiuto. E questo deve potersi esprimere senza misura né risparmio, la Kenosi non ha limiti se non: «fino alla morte, e alla morte di croce» (Filippesi 2,8).
CACCIARI - Insomma, non si è umili se non si accetta fino in fondo la propria condizione di «animale politico» - e sottolineo il termine «animale». Ma il cristiano, appunto, mai potrà disprezzare il corpo! La Chiesa è organismo anche politico e il suo potere non può non avere una dimensione anche temporale (che, ovviamente, non c'entra nulla con sovranità territorialmente determinate. A questo proposito, sarebbe interessante considerare la Chiesa come grande, profetico simbolo dei poteri deterritorializzati del postmoderno!). La Chiesa è in itinere e militante: combatte, perciò - è suo dovere tener salda la propria radice contro potenze nemiche - non può porgere l'altra guancia... Don Achille, questo è certo uno «scandalo»... ma come evitarlo? Può la Chiesa che milita, la Chiesa in hoc saeculo non essere anche peccatrice rispetto alle parole più pure (ma anche più oltrel'uomo) di Gesù: ama il tuo nemico, non giudicare?
SILVESTRINI - Sant'Ireneo, nell'Adversus Haereses, introduce l'espressione «Testamento della libertà» a proposito dell'annuncio evangelico ed apostolico (1. III, c. 12, n. 14; c. 15, n. 3), e questo motiva l'impegno della Chiesa nel mondo, che, trasparenza essa stessa di libertà, deve fare suo l'appello accorato di San Paolo: «O Galati insensati! Chi vi ha sedotti così? Voi siete stati chiamati alla libertà: non piegatevi nuovamente sotto il giogo della schiavitù» (Lettera ai Galati 3,1 e 5,1; 13). Tutti gli strumenti e le modalità di azione della Chiesa, la sua stessa storia, non possono non passare al vaglio di questo criterio, come l'oro provato col fuoco: la posta in gioco è liberare la capacità di amare, come dice ancora San Paolo ai Galati, «chiamati a libertà perché mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri». E poi, il corpo della Chiesa non si distingue dal suo Mistero. Lo diceva Henri De Lubac, teologo e grande storico della teologia, che è quanto più «scandaloso» ancora, quanto più «folle» questo nostro credere a una Chiesa in cui non soltanto il divino e l'umano sono uniti, ma dove il divino si offre a noi obbligatoriamente attraverso il «troppo umano!».
CACCIARI - Come concepisci la Chiesa, don Achille? È custode e basta di quei valori spirituali che combattono contro il Principe di questo mondo? Poiché egli è ancora pienamente attivo - è stato giudicato, ma continua ad operare ed opererà fino alla fine dei tempi - anche oltre il Regno Millenario. Nulla è più realistico dell'Apocalisse! Dubito lo si potrebbe affermare. Custodire e combattere significa necessariamente adottare forme e linguaggi del Nemico. Non si combatte amando e basta; non si può prender parte senza giudicare. Dunque la Chiesa reca su di sé anche i segni anticristici del Secolo? Non dovrebbe un cristiano, comunque, don Achille, soffermarsi ogni istante con tremore e timore su questi interrogativi, per non essere tentato dal principe di questo mondo verso il peccato di superbia e/o di disperazione? Oppure la Chiesa è immagine del katechon, di colui che trattiene e ritarda lo scontro finale tra lo spirito dell'Apostasia e la potenza dello spirito? Ma perché trattiene e ritarda? Per paura dell'Ultimo? O invece per misericordia nei confronti di noi, balbettanti eredi? Per darci tempo, "educarci" alla speranza nell'Insperabile? Ma se accogliamo quest'ultima idea, perché la Chiesa si esprime come se il suo itinerario fosse, o potesse essere, una marcia di avvicinamento al Trionfo finale? Non dovrebbe piuttosto testimoniare il carattere kenotico della storia - e perciò anelare alla sua stessa fine, intendo: alla fine di sé, della Chiesa? Perché la Chiesa non grida il proprio desiderio di passare?
SILVESTRINI - Penso continuamente a quello che Pascal diceva della Chiesa: essa deve essere, come il Cristo, in agonia fino alla fine del mondo. La storia è agonia, agonia di questo sguardo e di libertà. C'è una tenacia del male: le guerre, le contraddizioni sociali, l'effimero che narcotizza il tragico, la menzogna. E, a fronte di ciò, l'annuncio del Regno di Dio, dove i ciechi vedono, i sordi odono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono sanati, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella».